giovedì 12 aprile 2012

I segreti del mare di Francesco Catenacci


I segreti del mare

di Francesco Catenacci


Bisogna risalire fino al 1953, quando Sergio Saviane dava alle stampe il suo "I misteri di Alleghe", per ritrovare qualcosa di simile a questo romanzo, anch’esso ispirato a fatti realmente accaduti.
"I segreti del mare" è una storia cruda, densa di omicidi, che coprono un lasso di tempo lungo sessant’anni, ma che affondano le proprie radici ancora prima, durante l'epoca fascista, abbracciando così, nel complesso, ben settant'anni di storia italiana.
La lunga e puntuale ricostruzione dei fatti, opera di Francesco Catenacci, è sia romanzo, sia indagine giornalistica, sia storia dell'Italia criminale, sia giallo, sia cronaca nera.
Tutto questo e molto altro ancora.
Naturalmente i fatti sono romanzati e lo zampino e la maestria del Catenacci si vede in ognuna delle oltre cinquecento pagine del libro, ma la storia è completamente basata su fatti veri e documentati, solo la loro interpretazione è una tesi tutta dell'autore, nata dalla sua approfondita ricerca durata sei lunghi anni.
Durante la stesura de "I segreti del mare" il Catenacci ha condiviso le sue ricerche, i suoi dubbi e le sue teorie con il maresciallo dei carabinieri Claretta Cartocci, che, convintasi alla fine della bontà delle teorie e delle interpretazioni dei fatti dell'autore, ha indagato, arrestato, e portato infine a processo l'ormai settantasettenne Elvio Cinti, condannato in primo grado all'ergastolo e personaggio principale della ricostruzione dei fatti raccontati nel libro di Francesco Catenacci.
La storia viene narrata dal Catenacci come una vera e propria indagine poliziesca nelle mani del commissario capo Rachele Pavolini che si trova ad investigare sullo strano caso di un omicidio avvenuto nel marzo del 2004.
Evandro Mucci, un settant’enne di Marina di Acquappesa, viene ritrovato morto nel proprio appartamento; apparentemente sembra trattarsi di un arresto cardiaco, avvenuto il giorno precedente la scoperta del cadavere. Unico particolare rilevante il pannolone per adulti incontinenti strapieno.
Quantunque il caso venga subito archiviato dalla polizia locale il commissario capo Rachele Pavolini sente da subito una strana puzza. Nella realtà, ovviamente, questo è l’evento scatenante che diede la stura alle ricerche del Catenacci, vicino di casa di Evandro Mucci.
Risalendo a ritroso una serie impressionante di fatti, apparentemente slegati tra loro, avvenuti in luoghi affatto vicini, e in tempi i più diversi e lontani, la Pavolini ricostruisce una storia comune che intrappola nella stessa rete ben diciannove omicidi, tutti archiviati come morti naturali, incidenti, calamità e altro ancora.
Il primo di questi episodi risale al 1944, l’ultimo, appunto, al 2004.
Il Catenacci tesse la sua sapiente ragnatela attraverso la storia italiana, a ritroso, fino ad arrivare al primo episodio avvenuto durante la resistenza partigiana.
Solo alla fine si scopre cosa accomuna tutti questi “cold cases”: tutte le vittime avevano trascorso lo stesso periodo di vacanza, nell’estate del 1941 a Miramare di Rimini, presso la colonia marina "Fascismo Novarese".
Non solo tutti quanti erano là nello stesso periodo, ma costituivano una squadra e dormivano, quindi, tutti nella medesima camerata!
Minuziosa la descrizione del grande edificio, a forma di nave, proprio di fronte al mare, dove i giovani balilla facevano talassoterapia, bagni d’aria, bagni di sole, bagni d’acqua.
Struggenti le pagine dove si descrive la giornata tipo della colonia, dal saluto alla bandiera, attraverso marce, indottrinamento, attività motorie, fino al meritato sonno nella brandina della propria camerata.
Ma cosa successe allora? Cosa determinò quinci quella lunghissima sequenza di vittime, la maggior parte delle quali concentrate negli anni dopo il 2000? Quale oscuro episodio avvenne in quella camerata, così esiziale da dare inizio, già tre anni dopo quell’estate in colonia, a questa lunghissima catena di morti sospette?
Quando scopre che uno dei venti membri della squadra è ancora vivo, la Pavolini e prima di lei l’autore, si precipita a Marina di Pisciotta in provincia di Salerno, dove risiede Raniero Codacci-Pisanelli marchese di Calboli, l’unico superstite della mattanza.
Quella che all’inizio si presenta come una corsa contro il tempo per salvare l’unica vittima predestinata ancora salvabile, ben presto diventa un sospetto e vieppiù una ricerca del movente, quando si fa strada la certezza che il sopravvissuto sia anche l’assassino.
Una serie di indizi, prima solo stille di verità, man mano diventano traccia precisa, poi rigagnolo e quindi fiume di inconfessabili motivazioni nascoste.
Qual è il movente? Cosa ha spinto il marchese Raniero Codacci-Pisanelli a compiere diciannove omicidi, così ben congegnati da non destare sospetti per sessanta lunghi anni?
Ebbene il mandante è uno solo: l’enuresi notturna.
Piscialletto, questo era il nomignolo che i camerati della sua squadra gli avevano assegnato. Il marchese ne soffriva ai tempi della colonia e non fu solo fonte d’imbarazzo, ma gli procurò un ostracismo sociale che i suoi malcapitati camerati pagarono a caro prezzo.
Con lucida e determinata follia di vendetta il marchese ha vendicato l’affronto e la derisione con la condanna definitiva e inappellabile: la morte.
Dalla scoperta del movente il romanzo diventa la storia dell’accusa e del processo, fino alla condanna del marchese, sebbene sia una parte molto interessante, non ha ovviamente la forza della prima parte del libro, quando il lettore è portato, piano piano, alla scoperta della terribile verità.
Qualche malpensante ha messo in dubbio la ricostruzione del Catenacci, definendola un assurdo castello di carte, facendo leva su alcune constatazioni indubbiamente vere, ad esempio il fatto che la maggior parte dei sospetti omicidi sia avvenuta quando i soggetti erano in età avanzata, oppure che in nessuno dei diciannove casi di morti sospette sia stato trovata la ben che minima prova che fossero omicidi, oppure la contingenza che non sia mai stata provata, dall’accusa, la presenza del marchese nei pressi del luogo della morte dei suoi camerati.
Certo questi e molti altri fatti possono destare qualche dubbio sulla ricostruzione così minuziosa, ma prevalentemente basata su un teorema accusatorio, piuttosto che su vere e proprie prove.
Il colpo da maestro però, lo compie il pubblico ministero Alberto Mario Tallinucci; al processo, infatti, porta, come prova del reato, un pannolone ancora aulente del suo afrore e grondante di liquido dall’inconfondibile color giallo-paglierino, ritrovato la mattina stessa dell’udienza nella cella del marchese.
Di fronte ad una prova così palese ed incontrovertibile il giudice Leonilda Barbacci non può che condannare il serial killer della colonia, come ben presto il marchese viene soprannominato.
Solo dopo la condanna definitiva Catenacci ha potuto concludere e dare alle stampe questa sua corposa opera, frutto di sei lunghi anni di lavoro e finalmente consegnarla nelle nostre mani.
Nella versione in mio possesso, allegata al bel volume in brossura, anche una confezione da dieci pezzi di pannoloni per adulti incontinenti ultrasottili e idrosolubili.

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